Gabriel Ambrosone, musica nelle vene: da una fisarmonica giocattolo ai tour internazionali

Gabriel Ambrosone

Gabriel Ambrosone è un fisarmonicista ed è nato con la musica nelle vene, tanto da passare praticamente ogni momento della sua giornata a pensarci e, come si dice, a farla. Classe 2001, è originario di Aiello del Sabato. Comincia a studiare pianoforte all’età di 9 anni, mentre a 10 imbraccia per la prima volta una vera fisarmonica, per non lasciarla più.  È il 2018 quando, all’età di 16 anni, pubblica il suo primo disco, realizzato in collaborazione con il fratello, Manuel. Il titolo è  “Kitarmonika”. L’anno successivo, dopo una serie di concerti in giro per l’Italia, incide il secondo, sempre insieme a Manuel, dal titolo “Oltre i Confini”. A luglio di quest’anno, poi, vede la luce “Impression”, l’ultimo lavoro di Ambrosone, realizzato questa volta in trio con i musicisti Saverio Russo e Mariano Pastorelli. Il giovane artista vanta pure collaborazioni con nomi del calibro di Carmine Ioanna, Daniele di Bonaventura, Roy Paci, Antonio Fusco e tanti altri molto apprezzati a livello internazionale. Ambrosone stesso si è esibito in diversi tour sia in Italia che all’estero.Gabriel Ambrosone

L’intervista

Gabriel, entriamo subito nel vivo. Sei giovanissimo ma hai già portato a casa importanti esperienze. Quanto tempo dedichi ogni giorno alla tua musica?

Praticamente tutto il giorno. Faccio musica non soltanto quando suono materialmente, ma anche quando l’ascolto, ci penso o ne parlo con qualcuno. È una passione totalizzante. Addirittura mi capita di muovere le dita mentre dormo, mi succede sin da piccolo.

Come nasce la tua passione per la musica e, in particolare, per la fisarmonica?

Sicuramente devo molto ai miei familiari, che sono dei grandi appassionati di musica e, sin da piccolo, mi hanno trasmesso questa passione. L’incontro con la fisarmonica lo devo a mio nonno materno, Antonio, che è originario di Santo Stefano del Sole. Lì ogni anno, in occasione della Pasqua, si svolge la Rosamarina. Si tratta di un’antica festa durante la quale il paese si accende con canti e suoni della cultura popolare. Tra gli strumenti tipicamente utilizzati c’è proprio la fisarmonica. Ecco, mio nonno, è un elemento storico del gruppo della Rosamarina – vi partecipa da quando aveva 7 anni! – e ha sempre voluto che anch’io portassi avanti la tradizione. Così, quando avevo 5 anni, mi regalò una fisarmonica giocattolo e da lì non ho più smesso di imbracciare questo strumento. A 10 anni, con l’inizio della scuola media, ho cominciato il suo studio vero e proprio.

Quindi nella tua scuola c’erano corsi di fisarmonica? Un’opportunità davvero singolare…

Sì! Io ho frequentato le medie nel mio paese e la scuola di Aiello del Sabato è stata proprio una delle prime in provincia di Avellino a inserire anche la fisarmonica tra gli strumenti insegnati durante i corsi musicali svolti come attività extradidattiche. Lì ho avuto l’onore di avere come maestro Carmine Ioanna (fisarmonicista originario di Avellino, tra i più interessanti della scena internazionale – Ndr). Tra le tante cose che mi ha fatto scoprire, c’è certamente il jazz. Cioè, grazie a lui, già da ragazzino ho potuto capire che la fisarmonica non deve essere necessariamente circoscritta al genere popolare, ma che al contrario con essa si può suonare tutto.

Se dovessi spiegare a un, per così dire, “profano” che cos’è la fisarmonica, cosa diresti? Insomma, portaci nel tuo mondo

Certo. Si tratta di uno strumento completo e poliedrico, per le possibilità che offre. Come dicevo poco prima, permette di spaziare tra i generi. Dalla musica popolare al tango, dal folk al jazz, giusto per fare qualche esempio. Soffermandoci proprio sul jazz, è interessante anche la storia che c’è dietro. La fisarmonica, cioè, è arrivata nei primi del ‘900 negli Stati Uniti, patria di questo genere musicale, grazie agli emigranti del Sud Italia. Sono stati proprio loro a dare vita a questa commistione tra tradizionale e nuovo. Quanto a me, dal punto di vista non tecnico ma sentimentale, credo che possa essere lo strumento migliore attraverso il quale incanalare tutte le mie emozioni per trasmetterle poi anche a chi mi ascolta. Mi è difficile spiegarlo bene a parole, riesco a farlo meglio suonando.

Credi che ad oggi sia uno strumento sottovalutato? Pensiamo, ad esempio, ai modelli proposti ai più giovani nei film e nelle serie TV. Da stereotipo, insomma, si mostra un artista che sfonda nel mondo della musica suonando chitarre elettriche, batterie o, più di rado, pianoforti. Difficilissimo, invece, che al centro dei sogni artistici rappresentati ci sia una fisarmonica…

Assolutamente sì, è uno strumento sottovalutato. Ed è vero anche che i bambini, quando acquisiscono l’interesse per la musica, nel 99% dei casi si avvicinano a strumenti come quelli appena citati. Tuttavia c’è una battaglia iniziata anni fa, e tuttora in corso, per abbattere lo stereotipo della fisarmonica relegata al solo genere popolare o comunque percepita come uno strumento di più scarso valore. Va avanti almeno dal ’92, anno in cui lo studio della fisarmonica è entrato nei conservatori. Naturalmente le sue radici, che affondano nella tradizione, sono forti e indubbie, e da questo punto di vista lo sa bene proprio chi vive in Irpinia. Ma, come si è dimostrato nei conservatori, la fisarmonica non è meno nobile degli altri strumenti. Tutto, infatti, può essere trascritto e suonato con essa. Lo stesso repertorio di Bach, tanto per fare il nome di uno degli autori più conosciuti dal grande pubblico. Insomma, dal punto di vista della sua nobilitazione la strada da fare è ancora tanta, soprattutto in Italia, ma il percorso è stato avviato.

Un percorso, quello dello sdoganamento dal binomio fisarmonica-tarantella, sul quale anche tu stai edificando pietre miliari durante il tuo cammino musicale…

Diciamo che io sento questa battaglia in maniera molto forte. Studiando al Conservatorio di Avellino ho potuto notare di essere l’unico, o comunque tra i pochissimi, a non essere passato per il genere popolare. Non ho mai suonato, per dire, il liscio o la tarantella. Non che condanni chi lo faccia, anzi ho assoluta stima, ma a livello personale preferisco altro.

Ecco, venendo alla tua musica, è chiara l’influenza jazz, ma c’è un genere a cui senti di appartenere? 3 aggettivi per descrivere la tua musica

In realtà a me non piace l’idea di incasellarmi in un genere o di darmi etichette. Se proprio dovessi trovare un termine, direi che quella che suono io è musica improvvisata. Alla base c’è la libertà, quella di spaziare tra generi diversi e di fonderli insieme secondo il mio sentire. Diciamo che deriva tutto dai miei ascolti, che sono altrettanto variegati. Quanto agli aggettivi, direi appunto libera, appassionata e piena di determinazione.

Hai un pezzo che ti fa da “biglietto da visita”?

Non proprio, perché tutti i miei brani hanno una radice comune e sono attraversati dallo stesso filo conduttore. Quindi ognuno di loro potrebbe essere in grado di far percepire all’ascoltatore il mio sentire.

Effettivamente è come chiedere a un genitore qual è il figlio preferito…

Già, è un buon esempio! (dice ridendo, Ndr).

Restando nella metafora, parlaci del tuo ultimo nato, il disco “Impression”, pubblicato il 1° luglio

Il disco è composto da 9 brani e ognuno racconta un pezzo del mio percorso di vita. Io lo intendo proprio come una finestra aperta sul mio mondo interiore. Il titolo racchiude bene il senso del mio lavoro. Le impressioni, appunto, sono quelle personali che ogni ascoltatore potrà avere incontrando la mia musica. Allo stesso tempo, però, alle proprie emozioni si sommeranno anche le mie, quelle che ho provato e che ho poi voluto esternare attraverso la mia musica. Un gioco di significati e di interpretazioni che ritorna anche nella copertina: a primo acchito sembra che vi sia l’immagine di una fisarmonica, ma in realtà si tratta di un disegno del tutto astratto. Io, ad esempio, inizialmente ci ho visto una finestra.

In “Impression”, quindi, udito e vista vengono coinvolti e stimolati a cercare significati sempre più profondi. Ma dicci, qual è stata la sua genesi?

Ho cominciato a lavorarci nel 2021, durante la pandemia, scrivendo i brani. Poi l’arrangiamento musicale, per il quale ho potuto collaborare con altri due artisti assai validi: Saverio Russo, al basso, e Mariano Pastorelli, alla batteria.

Sei riuscito a portare la tua musica anche oltre i confini italiani. Hai notato differenze d’approccio dovute al contesto?

Devo dire che le maggiori differenze le ho notate quando sono stato in Francia. Mi sono esibito più volte al Sud, nelle città di Grenoble, Vienne e Lione. Lì ho suonato in vari cafè e jazz club, ma l’esperienza più particolare è stata quella in strada, tra la gente. Ecco, ho notato che in Francia la fisarmonica è molto più conosciuta e apprezzata. Lì, al contrario di quello che dicevamo prima, molti bambini iniziano a suonare proprio con questo strumento. In Italia la sfida è molto più difficile.

Passiamo ora a un’altra veste che hai indossato, quella di ideatore e di direttore artistico di “Wave of Improvvisation”, il festival di musica jazz andato in scena ad Aiello del Sabato

Sì. Il festival è nato nel 2017, quando ho sentito la necessità di portare all’interno del mio paese la musica jazz, un genere che ritenevo scarsamente presente negli eventi della nostra provincia. Allo stesso tempo, volevo creare uno spazio utile a dare la possibilità agli artisti emergenti, come me, di salire su di un palco, di farsi notare e soprattutto di confrontarsi con musicisti di fama internazionale. È stata una bella avventura. Al momento siamo riusciti a realizzare quattro edizioni.

Arriviamo alle battute finali. Quali sono i prossimi progetti a cui ti dedicherai?

A metà settembre mi esibirò con il mio trio al Festival internazionale della fisarmonica di Castelfidardo. Si tratta di un contesto davvero importante, per cui ne vado molto fiero. Naturalmente continuerò a portare la mia musica in giro per l’Italia e l’Europa, ci sono già diverse date.

Allora in bocca al lupo, Gabriel!

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