Condanna clan Partenio, Airoma: “Una pagina importante per tutta la comunità irpina”

Quasi trecento anni di carcere e nessuna assoluzione per i 21 imputati nel processo di primo grado al cosiddetto Nuovo clan Partenio, sodalizio operante ad Avellino e hinterland sgominato il 14 ottobre del 2019 nell’operazione denominata “Partenio 2.0”. Il processo, partito il 6 ottobre del 2020 nell’aula bunker del carcere napoletano di Poggioreale, dopo 68 udienze era stato trasferito ad Avellino nell’aula della Corte d’Assise del tribunale irpino.

La sentenza, emessa  martedì scorso, 11 luglio, dopo cinque ore di Camera di consiglio dal collegio presieduto da Giampiero Scarlato, giudici a latere Giulio Argenio e Lorenzo Corona, ha riformato al ribasso le pene richieste dai pubblici ministeri, Simona Rossi e John Woodcock della Dda di Napoli, che avevano chiesto complessivamente 400 anni di carcere per gli imputati.

Riconosciuta infine l’esistenza di un’organizzazione armata i cui promotori sono stati identificati nei fratelli Pasquale e Nicola Galdieri, Carlo Dello Russo e Carmine Valente. Condanne quelle inflitte, comunque leggermente a ribasso rispetto alle pene richieste dai pubblici ministeri, Simona Rossi e John Woodcock della Dda di Napoli, che avevano chiesto complessivamente 400 anni di carcere per gli imputati.

La sentenza emessa dal Tribunale di Avellino rappresenta un passo importante nella lotta contro la criminalità organizzata nella provincia.

Soddifatto della sentenza il procuratore di Avellino Domenico Airoma. “La sentenza è una pagina importante per tutta la comunità irpina. La questione se esista o meno la criminalità di stampo mafioso in provincia di Avellino mi appassiona poco – precisa -, in questi termini la questione è mal posta. Sentenze che hanno riconosciuto in questo territorio l’esistenza di clan camorristici sono piuttosto datate nel tempo, non scopriamo nulla. Il problema è un altro, spiega. È stabilire quale atteggiamento avere nei confronti di queste organizzazioni camorristiche, che ci sono. Qui occorre decidere, lo diceva Giovanni Falcone, la mafia non è un cancro che prolifera a caso su un tessuto sociale sano. Se attecchiscono, vuol dire che il corpo tanto sano non è. Questo dovrebbe essere il tema della riflessione. Tutto ruota quindi intorno alle decisioni che vogliamo assumere rispetto al fenomeno, che ripeto esiste. Connivenza, talvolta compiacimento, pensare “che male fanno” non è accettabile. Forse sarebbe opportuno pensare “quanto bene fanno” queste organizzazioni. O decidiamo di interrompere i rapporti con questo mondo di mezzo, smettendo di essere mezzi uomini, o non se ne esce».

“Ogni organizzazione camorristica si adatta alle caratteristiche di un territorio – ha aggiunto il procuratore – dire che non ci sono morti ammazzati non è un modo per consolarsi e negare il male che fanno. Queste organizzazioni si inseriscono in circuiti economici, come l’usura, l’estorsione e l’assegnazione distorta dei beni all’asta. Sfruttano i finanziamenti pubblici per arricchirsi. Questo dimostra la loro particolare versatilità criminale. Recentemente, ad Avellino, è stato scoperto un caso di malversazione di fondi pubblici di notevole entità. Dobbiamo interrompere i rapporti con queste organizzazioni e cambiare mentalità, sradicarle dal contesto sociale ovvero eliminare le ragioni per cui attecchiscono intervenendo sul consenso sociale. Dobbiamo agire su questo aspetto e fare il nostro lavoro. Ci saranno indagini e una collaborazione proficua tra la Procura di Avellino e la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. È stata costituita una task force che si occupa di stupefacenti, usura, espulsioni e uso improprio di fondi pubblici. Dobbiamo assumere un impegno forte e richiamare la comunità a fare la sua parte, comprese le amministrazioni locali. Quando queste organizzazioni entrano in certi ambienti, lo fanno in modo non violento corrompendo professionisti e imprenditori. Anche questi ultimi devono decidere di interrompere i rapporti con questi personaggi. È chiaro che non riusciremo a risolvere il problema se non andiamo alle radici e coinvolgiamo tutti, non solo i cittadini comuni. Questo problema riguarda anche e soprattutto gli imprenditori, i professionisti e gli amministratori pubblici. E’ necessario  un impegno collettivo per sradicare queste organizzazioni e cambiare rotta”.

“Non è scritto da nessuna parte che i clan si rigenerino. Non è un processo ineluttabile, una iattura, una disgrazia. Perché si rigenerano solo in determinati contesti? Facciamoci qualche domanda. A suo tempo, quando ero alla Dda, mi dicevano “non perdere tempo con Avellino, non c’è la camorra”. Salvo poi scoprire l’esistenza del clan Partenio, e poi gli omicidi e tutto quello che ne è seguito con le relative sentenze. È cambiato qualcosa? Poco, allora vuol dire che qualcosa non va. Non è bello rassegnarsi».

Infine il Procuratore irpino sui rapporti  tra politica e magistratura risponde in modo franco e deciso. “Non mi associo allo sport di quelli che pretendono di sostituirsi al legislatore».

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