Salzarulo: al Pd serve un salto di qualità

Salzarulo: al Pd serve un salto di qualità

Pd e componente “Territorio e nuove generazioni”. Di seguito pubblichiamo una riflessione di Rodolfo Salzarulo, sindaco di Lioni:
“Oggi, dopo l’assemblea provinciale del 24 maggio, uno o più dei miei giovani amici, esponenti di “Territori e Nuove Generazioni”, si dichiara libero di esprimere il proprio pensiero. Oggi uno o tutti dichiarano che Rodolfo Salzarulo fosse, e sia, libero di esprimere il proprio pensiero. Oggi, se le parole hanno un senso, devo dedurre che più d’uno dei miei giovani amici pensa di aver vissuto quel percorso in una gabbia. Ciascuno e tutti privi della libertà di esprimere il proprio pensiero. Che in quella gabbia ciascuno e tutti fossero compressi nelle proprie aspettazioni più alte. Con le ali tarpate. Deducendo solo logicamente, ben al di sotto della politica, più d’uno ha ritenuto quel percorso come un tram, su cui salire per uno o, al massimo, due, tre tappe in cordata e poi giù, verso la libertà. Quando per “Territori e Nuove Generazioni” si poteva dire “NOI”, demmo il via ad un percorso dentro il PD avellinese, a valle del tesseramento del 2009, perché vedevamo il riprodursi di un modello organizzativo che non mostrava le condizioni utili a vincere il difetto genetico del PD in questa provincia, che i più definiscono semplicemente “il sistema”. Posto che la forma fenomenica di quel sistema aveva dato prova di sé nella formazione delle liste, e della proposta politica che condusse alla tragica sconfitta alle provinciali. La nostra fu una “proposta aperta” ad ogni contributo ma, comunque, netta: per andare verso un partito strutturato, radicato nella realtà sociale e produttiva. In sostanza il partito a cui collettivamente abbiamo pensato sarebbe tale da rappresentare i luoghi in cui si formano i bisogni e le persone che quei bisogni consegnano quotidianamente alla politica. Uno strumento capace di essere la testa dei movimenti reali. Non la struttura burocratica posta alla testa della società in movimento e, dunque, ad essa sempre un passo indietro, inadeguata. Dunque eravamo in cammino per andare oltre il “Partito Casta” ed offrire spazi a lavoratori e ceti produttivi, giovani o non garantiti, perché fossero protagonisti della propria struttura organizzata, che si rinnova ancorandosi alle effettive trasformazioni della società e non alla mera riproduzione di se stessa come struttura. Abbiamo presentato nostre liste alle convenzioni, alle primarie e al congresso, sostenendo in autonomia Bersani alla segreteria nazionale e Amendola alla segreteria regionale. Siamo stati presenti al congresso e siamo andati nei territori ad incontrare persone e riscontrare esigenze, dai precari della scuola agli operai delle fabbriche in crisi, dalle emergenze di aree devastate dalle frane alla necessità di mercato per l’agricoltura di qualità, dalle tendenze allo spopolamento nelle zone dell’est alle logiche dell’accoglienza per i territori dell’ovest. Abbiamo posto in cima ad ogni priorità la pretesa di strutturare un partito forte, in grado di generare le necessarie connessioni istituzionali, di fornire una visione unitaria e condivisa all’azione amministrativa, perché non si riduca l’azione politica agli sforzi dei singoli, e per non delegare le risposte all’unica finalità del sistema: autoriprodursi. Referente di se stesso. Noi di “Territori e Nuove Generazioni”, privi di alternative in grado di dare forma al nostro proprio percorso, scegliemmo di sostenere Rosetta D’Amelio, contigua della nostra opzione congressuale “Bersani – Amendola”. Abbiamo dato il nostro contributo, politico e basta. Poi siamo finiti dentro lo stesso tritatutto che aveva retto il partito, nel tempo tra le provinciali e le regionali, a discutere di se stesso. Nei due mesi seguiti alle regionali abbiamo istituito un “parlatoio”, fatto di tre sedute di direzione e tre di assemblea. In verità molto ricche. Solo che è sembrato tanto un “parlate pure”. Poi deciderà chi ha la “responsabilità di decidere”. E mentre il parlatoio procedeva, sempre più forte avanzava l’idea del rinnovamento, necessaria quanto fascinosa. In quei mesi di parlatoio, bensì, si consumava il grande strappo dei due “Alto Calore”. Il gruppo consiliare della provincia proseguiva nella sua evaporazione. Restava commissariata la Comunità Montana Alta Irpinia. Si definiva lo strappo della Terminio – Cervialto, in cui un nostro consigliere veniva chiamato a ricoprire il ruolo di assessore in una giunta di destra. E ci andava. Mentre in un altro comune dello stesso ambito veniva costituito un gruppo consiliare PD senza il sindaco e un assessore, già PD, ma persi per strada. Si assisteva alla grande confusione dell’Ato, in cui si navigava a vista, senza una bussola in grado di cogliere i tempi nuovi. E noi a discutere, giustamente, di come rinnovare. Per due mesi. Più d’uno ha detto, ed io tra questi, che la responsabilità della mala gestione del partito non è in capo al segretario, o al presidente e che, per questo, non appare opportuno chiederne la testa. Ora, la logica vorrebbe che si traggano le dovute conclusioni di ogni ragionamento. Se essi non sono responsabili lo è la maggioranza che li ha eletti e li ha sostenuti. Dunque essi possono restare ma, in primis, devono rassegnare le proprie dimissioni all’organismo che li ha eletti: l’assemblea. In modo da essere, eventualmente, eletti da una nuova maggioranza a cui in seguito dovrebbero rispondere. E questo non è avvenuto. Più d’uno ha invocato, ed io tra questi, che il partito debba strutturarsi dando corpo ad un forte rinnovamento della classe dirigente, in grado di porre in essere la vera unità del partito, senza le scorie di “parti antiche”. In questa ottica è un dato acquisito che la Direzione è l’unico organismo veramente unitario: vi sono rappresentati proprio tutti, generazioni diverse, sensibilità politiche e territori. Dunque, al massimo la Direzione dovrebbe aprirsi alle rappresentanze dei Circoli come, peraltro, è stato approvato in una modifica statutaria nell’assemblea nazionale del 21 e 22 maggio. D’un tratto è parso acquisito che il segretario e il presidente restino al loro posto, in quanto tali e al di sopra di ogni forma e di ogni altro ragionamento. Dunque tutto il rinnovamento consiste nella sostituzione di componenti l’ufficio politico. Riflettiamo. Personalità di grande esperienza, già presenti nell’Ufficio Politico che ha gestito la formazione delle liste regionali e la campagna elettorale, asseriscono che si è trattato di un organismo impotente. Mi chiedo: perché mai dovrebbe essere efficace un ufficio di segreteria prodotto con nuovi nomi? Forse occorrerebbe un nuovo indirizzo! Era parsa chiara, invece, quest’altra conclusione. Perché restino in carica il segretario e il presidente occorre che siano eletti da una nuova maggioranza ed occorre che in segreteria ci siano personalità di forte autonomia e autorevolezza. Se, invece si vuole fare spazio, come è giusto, alle nuove generazioni, allora occorre eleggere un segretario e un presidente che abbiano forte autonomia e altrettanto grande autorevolezza. Non avevo ritenuto, e mi era parso condiviso dall’intero gruppo di “Territori e Nuove Generazioni”, che si potesse avere il segretario, il presidente e l’ufficio politico, tutti simultaneamente giovani, nuovi e freschi. Sarebbe illogico, oltre che non adeguato alle attuali esigenze del nostro partito. Posto in ogni caso che non ritenevo, e non ritengo utile, non necessario e non opportuno il mio coinvolgimento in alcun ruolo esecutivo, sono convinto che nel gruppo di “Territori” ci siano le personalità politiche in grado di assumersi responsabilità sia nella prospettiva di un generale rinnovamento, con un segretario forte, sia nella prospettiva dell’ufficio politico forte con l’attuale segretario. Semplicemente non ritenevo, e non ritengo, che fosse il caso di fare fughe in avanti nel corso dell’assemblea, con prese di posizione non ragionate e non condivise. Viene raccontato, altresì, che il mio ragionare di oggi sia obsoleto, non al passo con i tempi nuovi e con le idee che avanzano. Sono sempre felice di riconoscere i miei errori. Fui componente dell’ufficio politico con la segreteria di Franco Vittoria. Alla vigilia delle primarie per la presidenza della provincia mi resi conto di non avere ruolo nelle scelte. Presentai le dimissioni con lettera chiusa al segretario. Non alla stampa. Chinai la testa e mi allontanai in punta di piedi da via Tagliamento. Con disciplina mi adoperai nella campagna per le provinciali nel collegio di Lioni. Poi, con altri, mi adoperai per dare vita al percorso di “Territori e Nuove Generazioni”. A valle delle primarie e del congresso, quando i risultati dicevano che il gruppo di “Territori” potesse aspirare ad una candidatura nella lista per le regionali, fu fatto il mio nome per quel ruolo. Dovetti prendere atto che la maggioranza che governava il partito aveva altre idee e più forti. Ancora chinai la testa e, con disciplina, mi dedicai alla campagna elettorale per il Partito Democratico, sostenendo la candidatura di Rosetta D’Amelio, indicata collettivamente da “Territori”. Quella mi parve un’azione veramente unitaria: tutti che spingono nella stessa direzione, per ottimizzare il risultato politico in capo al PD, pur sostenendo candidature diverse. Non altrettanto è accaduto per tutti gli ambiti, politici e territoriali. Oggi non riesco proprio ad attribuire valore assoluto all’unità che si prefigura: la leggo piuttosto come la riproduzione del “sistema” di sempre. Mi devo, altresì, compiacere per scorgere identità di vedute tra il “vecchio” Enzo Venezia, a cui va la mia stima, e il mio giovane amico Luigi Famiglietti, a cui rinnovo il mio affetto. Chino ancora la testa e torno a svolgere il mio ruolo di militante sul territorio. Dal momento che non riesco a rappresentare nessuna delle esigenze interne al partito dei tempi nuovi. Ribadisco che, bensì, non ritengo che alcuno si possa arrogare il diritto di rappresentare me, per quel poco che esprimo, in termini di contenuti e di forme. Nondimeno ho una perplessità e la voglio condividere. NOI di “Territori e Nuove Generazioni” avevamo pensato, e per parte mia assolutamente condiviso, di non divenire componente strutturata. Pensammo e dicemmo di voler essere “virus” all’interno del corpo del partito, tale da contaminare tutto quel corpo con idee e metodi che vi portassero innovazione seria, nel merito e nel metodo. La perplessità consiste nel fatto che non riesco a comprendere in cosa e come il corpo del partito sia stato contaminato. Dove sia il nuovo. Quale la prospettiva. Il bisogno di scrivere queste poche righe e consegnarle alla stampa deriva dalla necessità di chiarire ai tanti un dettaglio che non è stato colto con la necessaria chiarezza. Contrariamente a quanto è stato da alcuni letto, con scarsa precisione, Rodolfo Salzarulo non ha inteso e non intende allontanarsi dal PD. Egli non riesce a condividere le scelte attuali sul piano provinciale. Le ritiene non adeguate al momento di grande difficoltà. Resta saldamente, e con disciplina, dentro questo partito, perché lo ritiene unico strumento possibile per fronteggiare la crisi che sta vivendo la società oltre che la politica di questa epoca storica. Statisticamente è più facile che sbagli uno solo, piuttosto che un collettivo pensante. E’ più facile che sbagli il sottoscritto, una persona sola. Ed è corretto che torni a lavorare solo sul territorio. A percepire la realtà in movimento. Ricominciare daccapo, come sempre. Perché ritiene corrette e convincenti le parole di Bersani alla recente assemblea nazionale: “lì, fuori, c’è tanta gente che ha bisogno di noi”. Alle sue parole personalmente aggiungo che “noi abbiamo bisogno di tanta gente lì fuori. Che non ci aspetta!”. Per riprendere ad avanzare nel corpo della società. Concretamente. Se mai lo abbiamo fatto, come quando lo abbiamo fatto”.

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