South working, tanto discusso, ma dove siamo?

Nei mesi passati è stato impossibile non parlare del south working, ovvero il lavoro remoto svolto dal sud Italia.

Fino a qua tutto in regola, ma perché la proposta ha creato molto scalpore sui giornali e in televisione?

Da buon italiano, se devo pensare alle fabbriche ed ai palazzoni pieni di uffici, la prima città a venirmi in mente è senza dubbio Milano.

Questo non è solo un gioco della mia mente, ma una realtà consolidata e sotto la vista di tutti.

L’idea che il cuore pulsante del lavoro Italiano potesse essere spostato nelle periferie, o ancor peggio, nel sud Italia, ha fatto sobbalzare lo zoccolo duro dell’industria, radicata nel nord Italia.

Per capire dove siamo, con quella che è stata definita come una svolta, dobbiamo vedere chi sono queste persone e cosa fanno.

I south workers, questi sconosciuti

Parlando di south working, non possiamo tralasciare le persone che trainano questo movimento, ovvero i south workers. Queste persone provengono da numerose industrie, spesso legate al mondo tecnologico e internet.

La loro peculiarità? Per fare il loro lavoro hanno solo bisogno di un computer ed una connessione dati, potendo così lavorare da ogni luogo.

Tra loro ci sono anche un buon numero di cosiddetti nomadi digitali, ovvero persone che lavorano per uno o più clienti e passano il loro tempo libero muovendosi di dove in dove.

Questi possono lavorare come centralinisti (sempre in remoto, ovviamente), avere piattaforme di affiliazione per fare soldi con Amazon, offrire consultazioni SEO e molto altro ancora. 

Si pensa che nel 2030 circa il 29% della popolazione in Italia farà questo tipo di lavoro, senza quindi una posizione lavorativa fissa.

La verità non raccontata dai media

Conosco alcune persone che di recente si sono trasferite al sud per lavorare, data la momentanea chiusura del loro ufficio per ovvi motivi. Esatto, ho detto momentanea.

I giornali e la televisione dipingono questo south working come una migrazione di massa dalle grosse città del nord, creando allarmismo, fomentando rivalità e instillando false speranze a coloro che vorrebbero tornare a vivere al sud in via permanente.

La maggior parte delle imprese che ha concesso il lavoro da casa ai suoi dipendenti, riaprirà non appena la situazione di rischio sarà conclusa.

Questo vuole dire che, sebbene per il momento il trend sia in discesa per l’affitto in città come Milano o Torino, verso la fine del 2021 le cose dovrebbero cambiare.

Sarebbe davvero bello se l’Italia si aprisse al concetto di lavoro in remoto permanente, come fatto da numerosi stati Europei, ma la strada, per il nostro paese, è molto in salita e non sarà semplice.

Ci sarà mai uno scenario favorevole al lavoro a distanza

Sicuramente, nel futuro, lavorare da casa e/o a distanza, sarà sicuramente possibile nel nostro paese. Purtroppo però, ai nostri tempi, siamo ancora un po’ indietro rispetto alla mentalità estera.

Pensando allo smart working, immaginiamo a persone sedute davanti alla loro TV 65 pollici a grattarsi la pancia e stare su Netflix.

In parte, forse, questo è anche vero, ma il nostro non rimane comunque un caso isolato. Gli opportunisti sono ovunque e guardare il fattore geografico conta davvero poco.

Speriamo davvero che l’Italia diventi, con il tempo, un paese più aperto dal punto di vista lavorativo, potendo offrire opportunità concrete alle persone che ci vivono, inclusa la possibilità di lavorare in ogni luogo, che sia a nord o a sud.

Tante persone vedono nel south working in modo di stare vicino alla propria famiglia, magari dopo anni di allontanamento per motivi lavorativi o di studio.

Vedremo quello che succederà, sperando in un cambio concreto e che possa realmente ribaltare le cose.

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