Emigrazione irpina: non sempre fu “sogno americano”

Alberto “Biz” Cavalcante nacque, nel 1914, a Nusco in provincia di Avellino da Raffaele e Maria Carmela. Il ragazzo seguì, nell’emigrazione verso gli Stati Uniti, il padre che, spinto dalla voglia di riscatto, decise di rincorrere il “sogno americano”.

Il padre trovò lavoro nelle miniere di Fayette Country in Pennsylavania. Altri figli della famiglia Calvalcante, oltre ad Alberto, furono James Vincent, Viola, Vito William, Margaret e Richard.

Alberto Cavalcante divenuto maggiorenne seguì le orme del padre e sposò Rebecca Martin dalla quale ebbe tre figli: Edward, Jean e James.

Grazie all’interessamento di un cugino, Alfred Emanuel “Fricky” Cavalcante (un rappresentante del sindacato U.M.W.-Lavoratori delle miniere d’America) , Alberto trovò lavoro nella vicina miniera di “Robena” a Carmichaels nella Contea di Greene Country.

Il faticoso lavoro della miniera era compensato da un guadagno dignitoso. La sua esistenza correva serena nella cittadina di Masontown.

Il 6 dicembre del 1962 in quella zona della Pennsylvania la neve scendeva abbondante e tutti si preparavano a festeggiare l’arrivo di “Santa Claus”. Ma un’esplosione stava per tramutare tutto in tragedia.

Nella miniera di “Robena”, di proprietà della U.S. Steel’s Clairton Works, a causa di una fuga di gas si verificò una violentissima esplosione.

Ben 37 minatori rimasero intrappolati nelle viscere della terra. Tra questi anche Alberto “Biz” Cavalcante.

I minatori che riuscirono a mettersi in salvo raccontarono di un terribile “botto”, di una fortissima e lunga folata di vento che fece cadere loro i caschi. E poi dappertutto fiamme. Un vero inferno.

I soccorsi, nonostante la tanta neve, non tardarono. Fuori dalla miniera si ammassarono dolenti i famigliari. Si sperò che i minatori avessero potuto, in qualche modo, trovare un riparo. Ma le speranze svanirono quasi subito.

Le squadre di soccorso dovettero fermarsi dinanzi ad una situazione di grande pericolo. All’interno della miniera tutto era crollato.

Allora si presentò dinanzi alla stampa un dirigente della società e annunciò tristemente: “Nessuno si è salvato”. Poco prima aveva comunicato la drammatica notizia ai famigliari.

Va evidenziata una assai triste coincidenza: il 6 dicembre, lo stesso giorno, del 1907 si era verificata la tragedia di Monongah in West Virginia. Finiva così, amaramente, il “sogno americano” di questo ragazzo partito da Nusco. Ancora oggi, in Pennsylvania, la tragedia viene ancora ricordata ed onorata.

A quei minatori è stato dedicato un “Monumento al Muratore” con tutti i nomi di quelli che in quel tragico 6 dicembre del 1962 perse la vita.

Geremia Mancini – Presidente onorario “Ambasciatori della fame”

SPOT