Processo aste ok, la difesa di Livia Forte:”Non si è mai servita del clan per gestire le aste””

Tribunale Avellino

 Nella giornata di oggi, presso il Tribunale di Avellino, in composizione collegiale presieduta dal presidente  Roberto Melone, a latere Vicenza Cozzino e Gilda Zarrella, è ripreso il processo nato dall’inchiesta “Aste ok” del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Avellino e il Nucleo Pef delle Fiamme Gialle di Napoli che hanno indagato su questo nuovo filone d’illeciti che vede protagonista il Clan Partenio.

La prima a discutere è stata l’avvocato  Caterina Migliaccio, nel collegio difensivo di Antonio Barone. “La requisitoria del Pm ha insistito nel voler leggere il diritto alla casa come un’espressione suggestiva e colorata. Questa difesa non può non soffermarsi sulle prove, attendendo una sentenza che sia di condanna o di assoluzione, ma che sia giusta. Mi piace richiamare l’arringa di De Marsico,.’indispensabile necessità che l’avvocato resti nel dibattimento quel che è il marinaio sotto la vela: la spia del vento. La rotta di un avvocato è la più difficile delle navigazioni, perché si svolge fra correnti d’anima, le più invisibili e mutevoli di tutte le correnti. Questo processo ce lo ha dimostrato, visto il procedimento collegato per corruzione in atti giudiziari. E il mio compito è quello di indicare le rotte delle prove partendo dai capi di imputazione. Non ci venga a dire ora il Pm che ci contesta l’aggravante che non ci è stata contestata in tutto il processo. E lo fa partendo dal capo di imputazione, perché vedremo che addirittura il pm in sede di requisitoria ha ritenuto di riqualificare la condotta da condotta esterna in partecipazione all’associazione”. E qui c’è il colpo di scena: “Giova ricordare che al Barone per due capi di imputazioni non è contestata l’aggravante dell’art.416 bis (mafiosa). Oggi non vi venga a dire che ci contesta l’ aggravante. Non ci siamo difesi sull’aggravante nelle due aste contestate”.

La pista investigativa inizia con un’intercettazione a casa dei Galdieri. Il Barone può essere ritenuto interessato alle aste quando vi sono attimi di fibrillazione perché arrivano i concorrenti, cioè Formisano e Cerullo. Da allora, il Barone inizia a fare sopralluoghi per acquistare e rivendere appartamenti. Ma in quel periodo c’è l’episodio più importante, cioè l’incontro con la Forte, Galdieri, Formisano e Aprile. Ma se Barone fosse stato coinvolto, come mai Carlo Dello Russo, che aveva avuto il compito di prelevare con forza Formisano e Cerullo e portarli a casa della Forte, non aveva prelevato Barone? Sono elementi probatori che escludono la presenza di Barone in quell’incontro. Che Formisano facesse i suoi affari e si mettesse in società con Cerullo erano cose di cui Barone non doveva essere a conoscenza per forza. Ma in quell’incontro del 20 febbraio 2019 dalla Forte viene sancito ed imposto un accordo a cui gli altri devono essere sottoposti. E da quel 20 febbraio Barone non è mai stato coinvolto in telefonate con la Forte e i Galdieri. Mentre era con Formisano fuori per lavoro, arriva una telefonata dalla Forte con il cellulare di un suo cliente. La Procura non ha mai sentito quel cliente che era anche un esecutore. Alla fine di giugno, Barone e Formisano iniziano a capire il gioco di Amando Aprile, cioè che lui va solo sul sicuro. Da dove nasce l’intuizione di Barone sugli atteggiamenti di Aprile? Barone acquisisce questa scaltrezza dalla collega a cui telefona e in cui viene messo in guardia da Aprile, definito ‘un funambolo’ dallo stesso Pubblico Ministero; un uomo molto scaltro e da cui stare attenti. E da quel momento Barone, in un’intercettazione, dichiara che non vuole più partecipare alle aste e non vuole avere a che fare con Aprile e con la Forte. E dichiara con forza al telefono: “Noi le quattro aste di Solofra e Avella non le facciamo” e dice no ai sopralluoghi chiesti da Aprile e Forte”.

La penalista, poi, si sofferma sull’asta dell’opificio di Solofra, che fu l’unica a cui Barone, insieme a Formisano, partecipò: “Barone e Formisano parteciparono con la società Arca di Noè. All’asta non c’era nessun altro partecipante, quindi l’opificio fu aggiudicato a Barone e Formisano perché la procedura era senza incanto, essendo stata l’unica offerta. Formisano si recò un giorno prima dell’asta per visionare il capannone industriale, che versava in pessime condizioni. Chiamò Barone per comunicare che non era un buon affare come prospettato da Aprile. Barone contattò un commercialista di Solofra per ottenere informazioni sul proprietario e sul capannone. Il commercialista riferì che in passato il capannone valeva 1 milione e 400 mila euro, ma attualmente il suo valore era di 400 mila euro, quindi era un buon affare con una base d’asta di 130 mila euro. Decisero quindi di partecipare, acquistare e vendere il capannone industriale per conto proprio”. L’avvocato Migliaccio conclude la sua discussione chiedendo, per il suo assistito, l’assoluzione.

La discussione del collegio difensivo dell’imputato Antonio Barone, si conclude con le parole dell’avvocato Claudio Botti: “La difesa è stata travolta da un clima che ha danneggiato gravemente il processo e entrambe le parti coinvolte. Il nostro atteggiamento di tolleranza mostrato in questo processo si è manifestato di fronte a un’atmosfera di mafiosità. Ripercorrendo il processo, vedrete che si imputa a Barone di essere un concorrente esterno ad un’associazione mafiosa e di fornire un sostegno stabile al nuovo Clan Partenio nella gestione monopolistica delle aste. Nel controesame di un militare condotto dall’avvocato Aufiero, il carabiniere non è riuscito a fornire un numero preciso riguardo alle aste e al concetto di monopolio. All’avvocato Barone sono contestate due o tre aste senza l’aggravante dell’associazione, quindi la contestazione è riferita ad una sola asta. Nel corso di questo processo, spesso si sono sovrapposte le figure di Formisano e Barone, ma ritengo giusto separarle per rispetto della storia professionale di ciascuno, non per stabilire chi sia giusto o cattivo. La riqualificazione rappresenta la debolezza dell’impianto accusatorio, che è permeato da questa atmosfera di mafiosità. A parte l’asta di Solofra, dove c’è un vantaggio per Barone? Quando il Pm considera che Galdieri afferma di non aver mai conosciuto Barone, si evidenzia una falla nell’impianto accusatorio. Le indagini sono il fulcro di un processo e in questo caso sono stati inseriti un gran numero di intercettazioni, come la pesca a strascico. Anche se ci sono state intercettazioni riguardanti le aggiudicazioni, la polizia giudiziaria non ha verificato se effettivamente si sono svolte le aste. Inoltre, la polizia giudiziaria non si è mai avvalsa di un consulente tecnico per le intercettazioni. Anche dopo la riunione tra Aprile, Forte e Galdieri, con gli schiaffi dati alla Cerullo, Barone ancora non compare sulla scena, ma la sua presenza si colloca dopo la vendita dell’opificio di Solofra. Quindi, mi sento di dire che ho partecipato a un anno di udienze e non ho mai sentito parlare di Barone. In verità, ho pensato di venire a sentire il processo in cui erano imputati Galdieri, Forte e Aprile. Solo dopo, a metà del dibattimento, si apre una nuova indagine ed è diventato il processo di Formisano e Barone. Il pm, con questa nuova indagine, ha cercato di porre rimedio alle falle del suo impianto accusatorio già debole”. Anche l’avvocato Botti, per Barone, ha chiesto l’assoluzione perchè il fatto non sussiste.

La successiva discussione, è stata quella dell’avvocato Roberto Saccomanno, difensore di Livia Forte: “È stato un processo lungo, durante il quale abbiamo avuto testimoni che sono diventati indagati ed episodi spiacevoli come la morte di Modestino Forte, che è morto senza sapere se fosse colpevole. Vi chiedo di non farvi condizionare dall’amarezza e dal disagio che è successo da entrambe le parti, perché dovete decidere sulla vita di queste persone. Parto dalla posizione di Livia Forte perché è più significativa rispetto a quella di Antonio Ciccone. Come dice l’avvocato Botti, questo è un processo sui generis, in cui mancano i collaboratori di giustizia ma ci sono le intercettazioni. Si contesta a Forte la partecipazione al clan Partenio e si dà per scontata l’esistenza del clan Partenio, anche se non esiste nessuna sentenza che ne attesti l’esistenza. In questo processo ci siamo soffermati sulle aste, sul patto con i Galdieri, sulle percentuali e sulle riunioni, ma abbiamo omesso il tema della prova dell’esistenza del clan Partenio. C’è stata una prima sentenza di primo grado, che non è passata in giudicato e che non può essere considerata come una surroga a questo processo. Si può addivenire a una responsabilità di Livia Forte al sodalizio criminale denominato Nuovo Clan Partenio senza che ne sia certificata l’esistenza? E io credo di no. Da tutte le dichiarazioni degli esecutati emergono che Forte e Aprile hanno delle intenzioni per gestire le aste. E non è vero. Gli esecutati e Cerullo, che hanno pagato ad Armando Aprile per turbare l’andamento delle aste, non possono essere considerati persone offese. Se i soldi sono stati dati per turbare, ne erano consapevoli e quindi sono concorrenti nella turbativa, e quindi non c’è il reato di estorsione. I coniugi esecutati hanno contribuito consapevolmente alle azioni di Forte o Aprile per turbare l’asta o per consulenza. Ma in entrambi i casi, Forte non ha partecipato alla richiesta dei soldi. La supertestimone si è contraddetta più volte, anche quando è stata ascoltata in aula durante il dibattimento. Ha detto di non essere interessata al mondo delle aste, per poi ammettere di averle fatte insieme a Laudato. Ha negato di essersi rapportata con Armando Aprile, e invece dalle intercettazioni trapelava il contrario. Ha affermato di essere stata aggredita a casa di Forte, per poi continuare ad avere rapporti con entrambi anche dopo il grave episodio da lei denunciato. Ha negato di aver chiamato “zia” Livia Forte, ma è stata smentita dalle intercettazioni. Cerullo ha dovuto ammettere che la riunione di febbraio era preceduta da un’altra riunione a casa sua. La riunione di aprile è in stretto legame con quella di febbraio. Dagli elementi probatori emersi in questo processo, non sussiste il reato di estorsione per Forte. Gli esecutati non hanno mai confermato richieste a nome del clan da parte di Livia. Lei non ha mai utilizzato la forza d’intimidazione del clan per allontanare le persone che volevano partecipare alle aste. Non ricorre al potere del clan neanche quando viene aggredita nello studio del notaio, ma chiama i carabinieri. Forte non si è servita del clan, come confermato anche dal controesame dei militari del nucleo operativo. Prima del 2018, Livia Forte e Armando Aprile erano dei leader nel settore delle aste, e questo non lo dico io, ma è stato affermato dai militari in aula. Dal 2014 al 2018 non si è mai registrato un coinvolgimento della Forte in attività illecite come la turbativa d’aste, né alcun coinvolgimento della Forte nel clan Partenio. In un’intercettazione tra Galdieri e un’altra persona emerge un interesse del presunto capoclan a comprendere il meccanismo e a voler chiedere a Forte e ad Aprile una somma ipotetica sulle aste”. L’avvocato Saccomanno ha chiesto, l’assoluzione per la sua assistita.

La prossima udienza è fissata il prossimo 3 maggio.

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