Tifosi infuriati per la gestione della biglietteria: eppure la soluzione c’era…

Presuntuosi e altezzosi, gli uomini di De Cesare hanno perso un’altra occasione per farsi perdonare dalla tifoseria confermando il  modo in cui hanno finora tenuto in considerazione il popolo del calcio e del basket.

Una tifoseria che, nonostante sia stata presa per il naso, tenendo nascosti i gravissimi problemi finanziari della società che gestisce l’Avellino calcio, s’è riversata in massa allo stadio, per assistere alla partita contro il Bari, costretta invece a rinunciare di assistere all’incontro.

Cosa è successo?

Per molti appassionati, non è stato possibile acquistare i tagliandi di ingresso a causa dell’inadeguato servizio di vendita ai botteghini, affidato a operatori che non sono stati in grado di gestire la situazione, procedendo con una lentezza esasperante all’emissione dei biglietti. Colpa loro e di chi li ha incaricato di svolgere quel servizio.

S’è formata una fila interminabile e molta gente ha rinunciato alla partita, risparmiando dai dieci euro (per la curva) in su.

E così, la società che è con le pezze al culo ha perso soldi mentre molti tifosi non hanno visto vincere l’Avellino.

Si poteva evitare tutto questo?

Certo.

La soluzione era stata loro offerta da un signore sulla cinquantina che si chiama Giuseppe Musto, detto Peppe, uno che non ruba nè imbroglia, altrimenti sarebbe diventato ricchissimo visto che per oltre vent’anni ha gestito la biglietteria dello stadio facendo gli interessi delle società succedutesi negli anni, che in pratica hanno pagato gli stipendi al Musto coi soldi con cui l’ottimo dipendente ha fatto incrementare le casse societarie. Pregio incalcolabile, poi, quello di avere collezionato unanimi consensi e apprezzamenti dai tifosi, per i quali era diventato un punto di riferimento, capace di risolvere le situazioni più complicate. Trovate un tifoso che parlimale di Musto!

Da un anno Peppe è senza lavoro, è stata una delle 13 figure professionali licenziate da Taccone. Allora è un “tacchino” e come gli ex dipendenti  (ma non tutti) dell’Avellino che non c’è più, deve stare lontano da questa nuova impeccabile società, fatta di persone signorili e perbene, genuine e sincere, sostenute e consigliate da gente di altrettanto nobile blasone che hanno dettato all’attuale dirigenza di non prendere “tacchini” a bordo, ancora meno “avellinesi”.

Il nuovo Avellino, quello di De Cesare, appartiene a forestieri, a cominciare dal napoletano Gianandrea per proseguire con gente di Conza della Campania, Lapio, Bagnoli Irpino e altri paesi, che arrivati in città fanno valere il diktat: “Non vogliamo avellinesi”.

Certo, le eccezioni ci sono state, ma vuoi mettere il figlio di questo o di quel sindacalista, di quel politico o di quel pezzo da 90? Ma i cafoni (termine non offensivo che identifica gente di paese, quelli che un tempo portavano dal paese in città gli animali a capezza con la fune, “cà fune”, di qui cafone) decidono ciò che vogliono. Comprese le eccezioni alle regole.

Fatto sta cheil buon Peppe Musto, una di queste mattine, s’è recato dal presidente dell’Avellino mettendo da parte orgoglio e dignità, offrendo la sua esperienza e disponibilità, ha 50 anni e non è facile riciclarsi, chiedendo di potere dare una mano non tanto per un fatto economico (appartiene a una famiglia di professionisti benestanti, avvocati e imprenditori vinicoli, che non sanno cosa significhi fallimento in bianco nè soldi in nero) ma per una passione e un senso di appartenenza che si chiama Avellino calcio.

Ebbene gli è stato detto: si può fare, ti faremo sapere.

La risposta è quella che molti tifosi hanno potuto riscontrare allo stadio, senza riuscire ad acquistare il biglietto. Magari perchè al botteghino – privi di esperienza e capacità – c’era qualche altro “perucchio sagliuto” come chi ha scelto a chi fare staccare i biglietti.

Cosa significa?

“Dicètte ‘nu sapùto: Nun c‘e peggio ‘e ‘nu perucchio sagliuto”

“Disse un saggio: Non c’è nulla di peggio di un pezzente arricchito”

I cafoni forestieri lo sanno bene. Come sanno che prima o poi dovranno tornare nei loro territori, cacciati via da chi è stanco di essere preso per il naso da paesanotti improvvisati che credono di sapere gestire il calcio come le loro attività. Con i risultati che, ahinoi, conosciamo.

 

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