Fma – Romano: “Questa è la strada da percorrere”

Fma – Romano: “Questa è la strada da percorrere”
“La debolezza del nostro apparato industriale e la sua dipendenza sostanziale dal settore metalmeccanico era ed è cosa risaputa”. Così Ferdinando Romano, vicepresidente del consiglio provinciale di Avellino. “In questo contesto – continua Romano – gli allarmi che spesso abbiamo avuto modo di lanciar…

Fma – Romano: “Questa è la strada da percorrere”

“La debolezza del nostro apparato industriale e la sua dipendenza sostanziale dal settore metalmeccanico era ed è cosa risaputa”. Così Ferdinando Romano, vicepresidente del consiglio provinciale di Avellino. “In questo contesto – continua Romano – gli allarmi che spesso abbiamo avuto modo di lanciare riferiti ad una confusa situazione produttiva della FMA non sono stati ascoltati, anzi qualcuno ha pensato che il nostro fosse un atteggiamento volutamente catastrofista e non invece frutto di un ragionamento sulla sittuazione che andava determinandosi. Tutti abbiamo sottovalutato la lenta e progressiva emarginazione della FMA dal quadro di rilancio che la FIAT stava predisponendo. È stato un errore clamoroso e buon per noi che le organizzazioni sindacali e lavoratori abbiano inteso ciò che stava avvenendo ed abbiano lanciato un messaggio disperato alle istituzioni e alle forze politiche. La veridicità di questa affermazioni trova conferma in ciò che è avvenuto al tavolo ministeriale dove uno stanco e già conosciuto rituale si è consumato, senza aver indicato ne prospettive e né percorsi da seguire, rimandando il tutto ad un nuovo appuntamento. Incredibili, se non le avessi ascoltate essendo presente a quella riunione, le affermazioni del rappresentante dalla FIAT che con un atteggiamento di sfida ha di fatto sminuito il senso di quella iniziativa fingendo di non comprendere le preoccupazioni legittime dei lavoratori, forse aiutato in questo dall’assenza del Governo che ancora una volta ha dimostrato la propria insensibilità rispetto al nostro territorio. Il Ministro Scajola che non perde una sola occasione per tutelare i pure legittimi interessi dei lavoratori di Termini Imerese, ha pensato bene di non essere presente a questo incontro sostanzialmente sminuendone con la sua assenza la valenza, mortificando le aspettative dei lavoratori. Io credo che la gravità della situazione permanga e che bisogna mantenere alta la tensione riproponendo quotidianamente questa vicenda agli occhi non soltanto dell’opinione pubblica locale o regionale, ma soprattutto sul piano nazionale. È inconcepibile che l’arroganza di un gruppo industriale che ha preteso di condividere per decenni le proprie difficoltà finanziare e produttive, caricandole sulla collettività oggi possa pretendere di assumere atteggiamenti stizzosi ed ai più incomprensibili. In fondo le disponibilità che questo gruppo ha sempre riscontrato sono il frutto di una concezione del lavoro e della sua socialità come elemento portante della crescita di un paese. D’altronde se ci si ragiona la cosiddetta crisi mondiale viene in questa fase utilizzata per una profonda riconversione degli apparati produttivi e trova facili giustificazioni nella opinione pubblica quando si va a riconversioni cariche di dismissioni, licenziamenti, mobilità. Una realtà come la nostra non può digerire comportamenti di tanta provocazione, ha il dovere di rispondere con quella mobilitazione capace di penetrare nelle coscienze di tanta gente che oggi pensa, sbagliando, di governare il proprio particolare senza invece coltivare quel sentimento generale che è la base di una convivenza civile. Ovviamente noi parliamo di lavoratori organizzati, di persone che hanno una volto, una storia conosciuta e ci sfuggono i tanti che nell’indotto hanno vissuto in questi anni condizioni di lacerante competitività e che oggi appaiono come scomparsi. La politica non è riuscita neanche in questa circostanza a porsi come un elemento di mediazione tra interessi contrapposti, fa specie il silenzio di tanti parlamentari del centro destra sempre disponibili a solidarietà locali e mai capaci di alzare la voce laddove serve. I livelli istituzionali che vivono ed hanno una funzione nella misura in cui sanno interpretare i bisogni e le difficoltà, mai come in questa occasione sembrano essere lontani anni luce. Noi abbiamo il dovere di mantenere alta la guardia dentro e fuori le istituzioni; non possiamo aspettare nuovi appuntamenti sperando che il buon cuore dell’azienda possa dispensare un futuro produttivo riferito a pochi, destinando in questo modo, alla mortificazione intelligenze e competenze che in questi anni si sono formate. Basta con la demagogia noi abbiamo il dovere di assumere con decisione la battaglia per la difesa del lavoro che c’è e abbiamo l’obbligo di ragionare sul come un territorio che diventa sistema sappia indurre nuove occasioni di lavoro. L’esperienza romana accompagnata dalla delusione dei tanti non può essere il limbo nel quale ci si rinchiude affidandosi alla clemenza della corte. Da questa vicenda deve uscire, se ne ha le qualità, una classe politica che ha l’aspirazione di rappresentare bisogni ed interessi legittimi di quanti meno hanno, ritrovando in questo comportamento l’esaltazione vera del proprio ruolo.
Io sono convinto che questa è la strada da percorrere!
Non ne conosco altre e non mi spaventa una strumentalità possibile in funzione elettoralistica perché so che la maturità di tanti lavoratori saprà distinguere tra il contingente e la prospettiva”.

SPOT